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Quadro Macroeconomico



Il mese di maggio ha rafforzato le dinamiche osservate in questo secondo trimestre dell’anno con i rischi per l’economia globale sempre più delineati e approfonditi.

Il processo di rialzo dei tassi negli Stati Uniti è ormai avviato e nel meeting della Federal Reserve di metà giugno abbiamo assistito ad un triplo rialzo dei tassi. Nelle riunioni successive erano già stati prezzati dal mercato due ulteriori doppi rialzi a luglio e a settembre e un rialzo nelle riunioni di novembre e dicembre.

Quelle previsioni sono state, in realtà, subito dopo la pubblicazione del dato sull’inflazione statunitense, riviste verso l’alto dagli operatori di mercato e confermate dall’effettiva azione della banca centrale che ha operato un triplo salto nel livello dei tassi guida dell’economia.

Powell ci ha tenuto a precisare che l’attività della banca centrale americana è mutata. Le sue azioni non saranno quindi guidate da un obiettivo all’orizzonte, ma dalla rilevazione dei dati macroeconomici, rappresentazione quindi dell’economia con un determinato ritardo temporale.

La conseguenza è ovvia: i mercati finanziari non hanno più una bussola in termini di direzione macroeconomica delle politiche monetarie e con ciò la volatilità tenderà ad essere mediamente superiore ai recenti anni.


Allo stesso modo anche la BCE, messa in ulteriore difficoltà dalla guerra tra Russia e Ucraina, è prossima all’avvio del processo di rialzo dei tassi e tutte le metriche di mercato già scontano diversi aumenti. Nel solo mese di maggio, ad esempio, il tasso Euribor a tre mesi è passato da -0,43% di fine aprile a -0,30% attuale. Il tutto si intreccia con una previsione di rallentamento dell’economia globale, causata dalle contestuali debolezze in Cina e negli Stati Uniti. A livello generale le due forze che le Banche Centrali hanno dovuto gestire negli ultimi mesi, sono state, da un lato l’inflazione crescente e dall’altro una produttività calante, cercando di evitare il più possibile il peggiore scenario possibile ovvero quello della stagflazione.


Nel contesto economico attuale, la preoccupazione per l’inflazione nell’ultimo mese è stata sostituita con il timore della recessione, con conseguente arresto del rialzo dei tassi decennali e accenno ad un iniziale ritracciamento.

Tale preoccupazione è sicuramente legata ad un deterioramento del sottostante economico dell’economia USA, dove si notano delle iniziali riduzioni dei prezzi delle abitazioni in California e Texas, una forte contrazione degli indici PMI manifatturieri, ma soprattutto un livello di fiducia dei consumatori statunitensi ai minimi storici. Il tutto però deve essere accompagnato da un riferimento ad un mercato del lavoro in ottima salute, con un tasso di disoccupazione ai minimi (3,6%).


È chiaro quindi che se sarà recessione, sarà per via di uno shock dal lato della domanda dei consumatori, spaventati o preoccupati dal clima di incertezza del prossimo futuro in merito soprattutto al costo della vita. Se così fosse, una recessione simile a quella osservata nel 2001 potrebbe rappresentare uno scenario plausibile, con la ovvia conseguenza di una rapida inversione di marcia sull’andamento dei tassi della Federal Reserve. Ciò spiegherebbe anche l’accelerazione nel taglio dei tassi, previsto già per aprile 2023.


Sul tema inflazione la distanza tra le due sponde dell’Atlantico si sta allargando sempre più: mentre negli Stati Uniti l’inflazione è sempre più vischiosa, in Europa il dato dell’incremento dell’indice dei prezzi al consumo è ancora fortemente influenzato dalle materie prime energetiche. Il dato complessivo dell’inflazione nella zona euro è stato infatti pari a +8,6%, con un valore core (privo delle componenti energetiche) pari al 3,7% (in contrazione rispetto al dato precedente). Il differenziale tra le due misure è quindi prossimo a cinque punti percentuali. Addirittura, il dato previsionale tedesco per giugno è stato più basso delle attese (8,2% su base annuale) e in contrazione (-0,1%) su base mensile.


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