Nell'ottava appena trascorsa le borse azionarie hanno saputo realizzare quel rimbalzo necessario dopo aver toccato nelle ultime settimane importanti livelli tecnici. Dopo una lunga serie di sessioni negative, i mercati hanno trovato nuova spinta (indice globale MSCI World +3% nella settimana), grazie a semplici situazioni di ipervenduto, che hanno facilitato un ritorno di denaro sulle borse da parte di cercatori di occasioni. La riunione della BCE di giovedì, pur confermando le attese di un rialzo record dei tassi, alla fine non ha creato più di tanto scompiglio: è da fine agosto che le borse stanno scontando attese negative derivanti dall’azione delle banche centrali sui tassi, sia per l’azionario, sia sull'obbligazionario, con le chiare difficoltà nello specifico del segmento governativo. Probabilmente, tolta di mezzo l’incertezza e gli eccessivi timori, i mercati si sono riequilibrati, guardando avanti in un mese molto ricco di appuntamenti importanti, dai meeting di BCE e FED fino ai tanto attesi dati sull’inflazione USA, con lo sfondo le dinamiche di geopolitica internazionale e relative al caro-energia.
I mercati americani sono stati leader nel recupero settimanale: il saldo vede un’S&P 500 molto tonico (quasi +3,7%), capace di reagire dal supporto fondamentale a quota 3.900. La tenuta del livello è da considerare importante e farà da bastone di supporto e segnalatore di alert nel caso in cui i mercati sentano nuove avversità. Bene anche i titoli tech: Nasdaq +4%.
Le sfide dei mercati dei prossimi mesi non sono di facile risoluzione e non permettono previsioni eccessivamente ottimistiche o molto pessimistiche. I prezzi, come di norma accade, faranno da termometro, intercettando l'evoluzione sia degli utili aziendali (misura del contesto macro) sia dalle necessità della politica monetaria, dove la Fed ha già deciso che l’inflazione deve essere fermata "ad ogni costo". Non sappiamo però al momento i costi di questo obiettivo.
Le view degli analisti sono molto disomogenee: da chi prevede una recessione ‘soft’ e focalizzata in differenti aree economiche o addirittura una ‘growth recession’ (ossia un calo della crescita senza andare in negativo), fino a chi invece ritiene vi possano essere shock molto importanti e impattanti per gli effetti dell’inflazione e delle persistenti tensioni internazionali.
Con riferimento alle banche centrali, nelle ultime settimane anche la BCE ha iniziato a spingere sull'aumento dei tassi con l'obbiettivo di contenere l'inflazione, seguendo la strada indicata dalla FED. Entrambe le banche centrali devono confrontarsi con il problema dell’inflazione, se pur, quest’ultimo, con caratteristiche diverse. Da un lato, l’economia americana più resiliente del previsto (soprattutto nell’ambito del mercato del lavoro e dei consumi), dall’altro quella della zona Euro, fisicamente e direttamente più impattata dal caro energia e dalle conseguenze del conflitto bellico in corso tra Russia e Ucraina.
Il rafforzamento del Dollaro (che implicitamente fa anche il lavoro di calmierare la crescita economica statunitense) ha però l’effetto di esportare inflazione, rendendo più care le materie prime e finendo per peggiorare nella zona Euro il rialzo dei prezzi finali.
La BCE, quindi, si vede quasi costretta ad agire (spinta dalle componenti nordiche del suo board, contrarie agli andamenti disordinati dei prezzi), e ha chiaramente accelerato le proprie politiche monetarie restrittive. Dopo aver portato a zero i tassi nel precedente meeting, il board della BCE ha optato per uno storico rialzo da 0,75% (elemento già scontato dai mercati).
A richiamare maggior attenzione, però, è stato il percorso ipotizzato dalla Presidente Lagarde per contenere l'inflazione. I mercati sono infatti arrivati a scontare la possibilità di un altro maxi aumento ad ottobre (0,75%), sebbene la tesi non sia ancora pienamente condivisa. Molto dipenderà ovviamente dai dati che usciranno nelle prossime settimane.
Le mosse delle banche centrali hanno un fattore comune, ossia quello di essere in ampissimo ritardo rispetto a quello che storicamente sarebbe necessario. L’effetto è ancora una volta di sofferenza per i titoli governativi. Il titolo decennale tedesco è arrivato a toccare l’1,80% e quello italiano il 4%, ossia i livelli massimi del 2022. In più, anche la BCE ha parlato della necessità di snellire il proprio bilancio. Non sarà semplice, perché i mercati finanziari si sono chiaramente adagiati negli ultimi anni sulle politiche monetarie accomodanti e hanno bisogno di tempo per trovare nuovi equilibri.
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